OCTOBER RUST. 1 – nove tipi di inquinamento industriale.

 

Mi piace ottobre
perchè al contrario è “erbotto”
come un panino dell’autogrill di Borgotaro
Perché ti ci rintani, rimpannucci e crogioli
e non smani più per ciò che è stato
e non ancora per ciò che verrà poi
Perché  è presto per tirare somme ma
se non altro, puoi iniziare a farti un’idea.
Terra solitaria, senza imminenza
a ben vedere io canto te, ottobre
perché di norma nessuno ti caga
(non che la cosa dispiaccia, s’intende).

Mi chiamo Bentley Cooper. Qualcuno sapeva il perché ma – una volta avrei detto “non è affar vostro”; ora mi limito a un rassegnato “non ha più importanza”.
Non temete, non avete iniziato Dickens, né voglio scimmiottare Salinger e il suo incipit sull’infanzia schifa, ma del mio passato ritengo di rivelarvi unicamente – circostanza comunque emblematica – che una delle prime parole da me pronunciate è stata “buio”. Mi trovavo con i miei genitori per le scale di un condominio, anche se non so dire se quei gradini già fossi in grado di salirli tutti o no. Ricordo i finestroni tra una rampa e l’altra e la sera ormai precoce che vi si intravedeva e a poco a poco prendeva il sopravvento, inesorabile. Sgranai gli occhi e puntai anche il ditino, ne sono abbastanza sicuro, per poi farmi uscire dalla boccuccia le quattro fatidiche letterine, che risuonarono nel silenzio del palazzo. Tuttora non saprei spiegare perché mi fossi sentito indotto a indicare l’oscurità esterna, in cui non mi imbattevo di certo per la prima volta. Di fatto, del che chiedo perdono, resi i miei lì vicino edotti e partecipi del “grande evento”, gli albori della mia verbosità, in una maniera inconsciamente un po’ teatrale.
Al contrario di Holden Caulfield inizio ad esser vecchio, e anche ad averne delle riprove. Ad esempio, sono giorni che il mio cervello, nonché quel poco che lo attraversa, viaggia a ritmo di “Nine Types of Industrial Pollution”, dei Mothers of Invention. E’ un brano strumentale di una quarantina d’anni fa, e consta di un assolo di chitarra che definirei “atletico” ma registrato a basso volume, e accompagnato da una batteria che di contro pare suonata da un bradipo sedato. Il tutto dà l’idea di uno sfilare via in miracoloso equilibrio, di un mondo allo stesso tempo frenetico e rallentato, seppure inquinato e infestato da qualcosa di stagnante (non a caso, quindi, ho tirato prima in ballo la mia testa). In altri momenti, invece, risento nelle orecchie il rumore delle costruzioni che all’asilo ci venivano quasi riversate addosso dal fustone dov’erano riposte; e mai che alla fine si riuscisse a far combinare tutti quei pezzi in modo sensato o compiuto (la mia testa: eccola, di nuovo e sempre).
Mi sento vecchio anche perché percepisco più nettamente che mai la mia “bassezza” fisica (su quella morale, s’intende, ho paura a pronunciarmi). C’è da dire che sono cresciuto in fretta (la mia statura a dodici anni era più o meno quella attuale) e male (perché lì mi sono praticamente fermato). Misuro un metresettantasette; ma mi rendo conto di come il naso finisca sempre più spesso puntato in alto, quando devo guardare il mio prossimo. E non voglio fare discorsi sessisti, ma ogni volta mi chiedo come siano state nutrite le donne negli ultimi anni. In modo più evoluto rispetto a me, di sicuro, che venivo apostrofato dal professore di educazione fisica con aulici termini quali “braciola” o “polpetta”.
Non so se la mia scarsa “lucidità” da sveglio sia il portato di certi sogni ricorrenti – sogni di una banalità irritante, peraltro. Ad esempio, sto percorrendo i consueti tragitti quotidiani, casa-lavoro e ritorno, quando all’improvviso la strada come me la ricordo non è più la stessa, oppure devo cambiarla: mi trovo davanti un senso vietato che il giorno prima non c’era; oppure il ponte su cui transito è stato alzato neanche fosse un viadotto, o ristretto, o privato delle protezioni dallo strapiombo ai lati; oppure ancora arrivo a uno svincolo che mi fa scegliere una strada, e io non mi ci raccapezzo, e di botto sono su una sorta di tangenziale. Verrebbe naturale chiedere: ma alla fine arrivi a destinazione o no? E risponderei che mi sveglio prima di saperlo. Mi (vi) risparmio ogni banale implicazione di stampo psicanalitico, chè qualunque idiota sarebbe capace di interpretare visioni del genere. Forse la carenza di lucidità è data dal bisogno di raccontarle, come faccio ora.
Sentite, ho un calo di zuccheri; vado a periziare un vasetto di yogurt. Sul tema potrei tornare un’altra volta. Magari sarebbe meglio, per voi, se non ne avessi voglia.

 

6 pensieri su “OCTOBER RUST. 1 – nove tipi di inquinamento industriale.

  1. Dire che mi piace questo tuo post sarebbe veramente riduttivo. Mi strapiace. L’ho letto due volte. Prima in “silenzio” e poi con “Nine Types of Industrial Pollution” come sottofondo e mi è piaciuto tutte e due le volte. L’immagine di te bambino che indichi il “buio” fuori e lo “nomini” è bellissima ed anche il rumore delle costruzioni … se ti può consolare se mai dovessi incontrarmi mi guarderesti senz’altro dall’alto in basso. Ciao. 😉

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  2. Grazie! Questo post in realtà risale ad anni fa, ed era dedicato a una persona che, pur amandomi, mi faceva spesso notare come non parlassi molto di me bambino. Così, pensando a lei lontana in una mite e silenziosa sera di ottobre, feci partire “Uncle Meat” e già alla seconda traccia, quella del link, le mie dita presero a muoversi da sé. Oggi lei è ancora più lontana, ma restano immutati il senso e il sentimento che animano quelle righe. Inoltre, va detto che senza l’arte di Zappa sarebbe stato tutto più difficile 🙂

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  3. Parlare dell’infanzia è un po’ dare le “chiavi” di comprensione del nostro essere adulti. Il tuo post, ma questo l’ho pensato già prima della tua risposta, mi ha detto di te molte più cose di quante non abbia potuto immaginare leggendo altri dei tuoi post. Ti ho sentito più “vicino”. Magari sto dicendo sciocchezze. In tal caso, perdonami. 🙂

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  4. Sono d’accordo: parlare della propria infanzia vuol dire “avvicinarsi” (e mi torna in mente l’incipit intriso di dubbi de “La Coscienza di Zeno”). Della mia ricordo pochissimo, non è mai facile…e se attingessi truffaldinamente a quelle altrui, temo si noterebbe subito 😃

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  5. Temo proprio di sì. “La coscienza di Zeno” l’ho letto almeno una decina di volte ma l’incipit non me lo ricordo proprio. Inizio di Alzheimer? In quanto all’infanzia poi … l’ho rimossa quasi del tutto anche io.

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