Baluginii – 1. Venusian

Anche adesso che le rampe di scale e le aule teatro dei nostri incontri non sono più quelle di una scuola (le strade professionali si sono finalmente incrociate, dopo svariate peripezie), mi viene ancora da salutarlo con quel nomignolo, Poldo, che chi si ricorda più come nacque e si diffuse: forse apparteneva in origine a un contadino del fondo accanto alla sua casa di campagna. Ma per me è impagabile, appena tagliato l’angolo, scrutare la faccia del suo malcapitato interlocutore che prima trangugia un po’ di sbigottimento e poi non può evitare di chiedergli: “Com’è che ti ha chiamato, lui là?”.
Abbiamo condiviso tanti momenti, forse nessuno propriamente spensierato perché i nostri erano neuroni all’ammasso, animati non da cattiveria ma da cattiva volontà, con le sciagurate e immaginabili conseguenze. Ci differenziava, ma al tempo stesso univa, l’atteggiamento verso il senso di dignità e responsabilità che gli adulti cercavano di inculcare: se il mio era molto labile, lui non se ne lasciava nemmeno avvicinare; ma il cocktail funzionava. Avete presente l’amico (di solito uno è ed uno resta) che nelle sere primaverili in cui sei rassegnato a stare in casa ti suona al campanello senza preavviso, ti carica sul booster, si ferma a comprare un six-pack di birra infame (scusate ma “pacco da sei” non rende) dal pakistano compiaciuto e infine ti recapita sui colli, da dove vedi il primo ma distinto baluginare di luci cittadine tra l’autostrada e il mare in lontananza, il tutto unicamente per parlare “un’oretta” – nelle intenzioni, perché il tempo finisce per dilatarsi a dismisura – di ciò che va e non va nella vita? Ecco, Poldo era decisamente l’amico del genere, a formare un sodalizio in cui alla fine non si sa chi è Pinocchio e chi Lucignolo: la via verso lo sfacelo è tracciata, è lì davanti, e arrivarci per primo, per secondo o a braccetto poco importa. Ad esempio. A causa di meccanismi burocratici legati alla vicinanza alfabetica dei nostri cognomi, affrontavamo insieme alla AUSL le visite mediche in vista della “tre-giorni”. Uscivamo dalla stanza del prelievo tenendo premuto un batuffolo contro l’incavo del braccio, ansiosi di mostrare il buco sulla vena alle ragazze schifiltose, e sulla soglia indugiavamo un secondo per emettere un gorgheggio tenorile, come per concludere un’aria lirica (“La-laaaaa!”), perché, perché…ci andava così, secondo i nostri istinti marci. Ci sedevamo un minuto su un muretto davanti all’ambulatorio e poco dopo già Poldo ammiccava: “Senti, te lo leggo in viso, so che stai smaniando per tornare subito a scuola” (godevamo di una sorta di permesso per l’occasione). Lui taceva, giocando a nascondere le sue carte; io, una sfinge. In realtà non avevo tutta ‘sta fretta, ma mi sembrava volesse che recitassi la parte del bastian contrario. E quando credeva di dover insistere, o di rassegnarsi, d’un tratto gli concedevo: “OK, andiamo a tirare due stecche alla Venusian”, spiazzandolo. Termine ambivalente, “stecca”: edulcorava il concetto di bestemmia pur essendo ricollegato al biliardo, ovvero una delle attrazioni, assieme al ping-pong e ai trabiccoli dei videogiochi di guida, della stessa Venusian, la sala giochi a due piani ove si tenevano le riunioni del gran consiglio degli assenti delle prime e ultime ore. Al suo posto oggi c’è una profumeria, un’altra. Come ho detto a proposito del Vicolo Battarra, quanto a densità nel centro cittadino rivaleggiano con gli studi legali e le botteghe dei “compro oro”; e finiranno a contendersi lo spazio anche con le filiali delle assicurazioni e delle banche (l’apertura di queste ultime, peraltro, pare direttamente proporzionale al galoppare della crisi. Segno dei tempi o più probabilmente, trattandosi di mie considerazioni, economia d’accatto).
Mentre scrivo, l’irresponsabilità gli resta latente: attraversa le azioni di Poldo come fosse una scossa elettrica, sotto pelle. Certo, le gite in booster non le impone più, ma a parlare di cosa va o non va nella vita, si tratti di professione, guadagni o donne, facciamo sempre a tempo.
L’altro giorno in ufficio, erano tipo le tre del pomeriggio, avevo finito un atto e non ne potevo più, ma di lì a poco dovevo ricevere, e nel frattempo non sapevo che cazzo fare. Così mi son messo a gironzolare, ho notato un computer in stand-by nella stanza accanto e sono andato su Internet. Volevo guardare qualche video…interessante – mica scaricare, solo guardare. Ecco. Ho aperto il filmato – l’audio del P.C. era azzerato; tanto meglio – e me lo sono goduto in pace solitaria. Alla fine ho spento tutto e sono uscito dalla stanza: avevano tutti facce stranite, nessuno spiccicava parola. Qualcosa mi ha trattenuto dal chiedere spiegazioni su quell’atmosfera tesa, ho badato solo a non lasciarmene contagiare: anche e soprattutto a fine giornata, quando ho scoperto che quel computer funzionava con casse blue-tooth e soprattutto che qualche anima empia le aveva dimenticate, accese a volume immane, nella saletta di attesa, alla presenza dei clienti. Per alcuni secondi dunque, e prima di essere tacitate a suon di pugni sui pulsanti, le esternazioni delle ‘bionde porcone col fuoco al culo’ erano a mia insaputa rimbalzate contro ogni parete dello studio“.
Gli imberbi “Sdraiati” di Michele Serra parlerebbero di “epic fail”, ma senza rendere l’idea. “Sei il solito imbecille”, come commento a corredo, sarebbe molto più adatto se non provenisse da un pulpito, il mio, ben lungi dall’essere giusto.
Il gorgo della ricreazione perpetua è sempre pronto a risucchiare gli improvvidi. Sì, meglio concludere così, anche se non tornerà più l’antico baluginare: distante quello della città vista dal colle; vicino, quasi a contatto di faccia, quello delle Marlboro rosse di Poldo prima che lui le abbrustolisse fino al filtro con poche boccate, tra un discorso e l’altro, e le facesse volar via con un gesto secco, da avambracci solcati da vene inquiete.

6 pensieri su “Baluginii – 1. Venusian

  1. Sai, se devo menzionare uno e un solo ricordo di questo mio amico, o almeno il particolare che me lo rende affezionato, parlerei delle sue camicie nell’armadio del nostro alloggio universitario: tutte appese con le maniche già arrotolate, anche in inverno. Quegli avambracci, quindi, non si potevano trascurare; e le vene erano rese inquiete (anche) dal tasso di nicotina nel sangue – ma è un’altra storia.

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  2. …e non mi sono arrischiato a parlare del modo in cui tirava le boccate, della faccia che le accompagnava e dei versi disarticolati che ne seguivano. Oddio, forse ne avevo per un altro capitolo; ma no, meglio essermi fermato lì.

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